Per il trattamento della CMT (cefalea muscolo tensiva), non si può stabilire a priori la scelta terapeutica per eccellenza, ma la selezione di una o dell’altra dipenderà dalla specifica situazione clinica, dalle caratteristiche personologiche del soggetto, dai fattori che incidono nella sua occorrenza, dalla risposta del paziente stesso.
Generalmente, le principali linee terapeutiche per il trattamento della cefalea muscolo tensiva prevedono sia l’impiego di strumenti farmacologici che non farmacologici. Da non trascurare le situazioni cliniche in cui è possibile ricorrere ad entrambe le modalità di trattamento, in maniera sinergica.
Tra i trattamenti farmacologici, quelli più frequentemente impiegati riguardano: gli antidolorifici, gli ansiolitici e gli antidepressivi. L’utilizzo di antidolorifici è di frequente associato a regimi auto prescrittivi, che per tali caratteristiche non raggiungono, talvolta, l’attenzione del medico. Tuttavia, è da non trascurare quanto l’uso inappropriato di tali auto prescrizioni possa condurre a seri danni per la salute del paziente. Tra gli ansiolitici, prevalgono quelli di tipo benzodiazepinico, da assumere con le dovute cautele e indicazioni mediche. Gli antidepressivi sono di frequente utilizzo anche per la loro azione antidolorifica oltre che per l’azione migliorativa del tono dell’umore.
Di frequente riscontro nella pratica clinica, sono situazioni cliniche che predispongono all’utilizzo di metodi non farmacologici. Ci riferiamo, in tal senso a situazioni di drop-out al trattamento farmacologico per intolleranza, per insorgenza di effetti collaterali o per mancata disponibilità all’assunzione di farmaci. In tali situazioni così come in casi di ricadute, di risposta parziale o assente al trattamento farmacologico, si possono predisporre dei trattamenti non farmacologici o di potenziamento di quest’ultimi.
Tra le metodologie non farmacologiche, quelle di maggiore utilizzo risultano essere le tecniche di rilassamento da associare o meno alla psicoterapia. Le tecniche di rilassamento, attraverso un addestramento autoindotto, consentono al paziente di raggiungere uno stato fisico di rilassamento mentale che poi si ripercuote sul corpo. E’ stato dimostrato come un training, attuato attraverso delle suggestioni verbali, consenta al paziente di poter apprendere, per poi sperimentare, autonomamente, anche al di fuori della situazione di addestramento, la possibilità di rilassarsi in occorrenza di un attacco cefalalgico.
Studi clinici hanno rilevato come la pratica di tali metodologie consenta una riduzione dell’attivazione psico-fisiologica con riduzione della presenza degli ormoni dello stress ACTH, prolattina e del GH.
Quali sono gli elementi necessari per la loro corretta applicazione?
L’elemento essenziale per poterle applicare è rappresentato dalla partecipazione attiva del soggetto che, applicandole, acquisisce, in primo luogo, maggiore consapevolezza sull’unità mente-corpo, sperimentando su sé stesso le ripercussioni fisiche-emotive e comportamentali, successive alla riduzione della tensione mentale.
In associazione o in sostituzione ad esse, è possibile, inoltre, applicare interventi psicoterapeutici. Ci sono infatti dei casi in cui la percezione di situazioni stressanti, o vissute come tali dal soggetto, può incidere sulla risposta psicofisiologica, spesso per l’inadeguatezza nella valutazione della situazione stessa, per la mancata consapevolezza rispetto alle proprie capacità di fronteggiarla, o per l’inadeguato utilizzo di strategie di coping rispetto a situazioni vissute come problematiche. Un adeguato percorso di psicoterapia deve essere mirato al potenziamento delle risorse del soggetto anche in termini di consapevolezza e di addestramento e suggerimento all’utilizzo di strategie di coping cognitivo-emotivo e comportamentale, che incidano significativamente sulla qualità di vita del soggetto.
MEDICINA & PROFESSIONISTI DELLA SALUTE
Simona Novi - psicologa, psicoterapeuta
Agostino Galdi - neurologo, psichiatra