Allo stato attuale, l’incidenza delle diverse manifestazioni cliniche delle cefalee sull’individuo e sulla popolazione globale è notevole. L’impatto socio-economico è determinato dalla incidente frequenza di tali manifestazioni e dall’invalidità che ne consegue. I risvolti, che ne derivano sulla qualità di vita, sono infatti consistenti e fonte di sofferenze sul piano familiare, sociale e lavorativo. Per tali motivi, è necessaria un’adeguata gestione delle cefalee sul piano clinico
comprensiva di una diagnosi precoce e appropriata con un relativo adeguato trattamento.
Tuttavia, dai dati disponibili, emerge che, solo il 40% dei pazienti riceve una diagnosi corretta, il 50% non si reca dal medico, l’80% dei pazienti assume farmaci da banco, con effetti negativi e potenzialmente nocivi sulla salute.
Le cefalee presentano un ampio spettro di manifestazioni cliniche e l’approccio diagnostico appare non sempre agevole, ma richiede particolare attenzione, in termini di diagnostica differenziale, al fine di favorire il riconoscimento di forme di cefalee secondarie riconducibili a patologie organiche. Dal punto di vista psichico alcune forme di cefalee presentano importanti connotazioni psicologiche e psichiatriche, che vanno riconosciute, in quanto se adeguatamente prese in considerazione e trattate, la prognosi migliora. Si tratta di quadri clinici a prevalente espressività somatica (depressione o ansia mascherata), in cui si assiste ad un break-down dei sistemi adattivi fisiologici e psicologici, come manifestazione di un’alterata risposta allo stress, rispetto alle sfide psico-sociali rappresentate dai conflitti familiari, dallo stress da lavoro, da crisi emotive.
Quali i fattori predisponenti?
Da non trascurarsi, nella determinazione della risposta algica, l’effetto delle variazioni ormonali cicliche, di fattori geo-climatici, che si insediano su uno spettro della personalità fragile con una bassa soglia al dolore. Il mal di testa esprime spesso un disagio esistenziale, una inibizione del pensiero che assume la funzione di un meccanismo di difesa che scatta quando il livello di attivazione psicofisiologica diventa insostenibile. Occorre quindi valutare la natura degli eventi stressanti a cui il soggetto è o è stato sottoposto e quali siano le situazioni che il soggetto vive come tali.
Capita, tuttavia, di incontrare pazienti cefalalgici che riferiscono di vivere una vita normale, senza particolari conflitti o situazioni stressanti. In questi casi, il clinico deve comprendere in che modo il paziente gestisce il quotidiano, il suo tenore di vita, i suoi impegni, le sue preoccupazioni.
L’impegno psicologico diventa più importante laddove si riscontra un’intrinseca difficoltà a riconoscere e decodificare le proprie emozioni. Tale difficoltà determina un’incapacità a entrare in confidenza col proprio mondo interiore, a provare emozioni, a viverle in modo naturale, a riconoscere il proprio disagio interiore.
Tratti di questa tipologia, definiti alexitimici, risultano ostativi rispetto alla possibilità di instaurare una buona relazione terapeutica, per cui sono fattori importanti da considerare, anche perché di frequente osservazione nella popolazione generale.
In definitiva, l’integrazione tra le conoscenze neurologiche e psicologiche consente una miglior gestione del paziente con cefalee.
MEDICINA & PROFESSIONISTI DELLA SALUTE
Simona Novi - psicologa, psicoterapeuta
Agostino Galdi - neurologo, psichiatra