<< Mi è stato diagnosticato il diabete, a 11anni, nel pieno della mia formazione. Credo che una cosa del genere sia paragonabile soltanto ad un ciclone che si abbatte contro una povera casa. Non ho mai accettato la mia malattia e credo che nutrirò sempre un certo risentimento. Spesso il pensarci mi rende triste, perché mi rende imperfetto o meglio incompleto e quindi infelice>>.
Il diabete è una malattia che va seguita non solo dal paziente, ma da tutti coloro che sono intorno a noi e fanno parte della nostra vita.
Convivere col diabete vuol dire prima di tutto essere seguiti in maniera olistica e multidimensionale da un team composito di figure professionali che si interfaccino costantemente (medico, diabetologo, nutrizionista, psicologo). Infatti, la sintomatologia ad esso connessa può essere generata da fattori diversi che richiedono pari monitoraggio e approfondimento.
Dal punto di vista psicologico, nel momento in cui si riceve una diagnosi di diabete, si attivano una miscellanea di risposte psicologiche che nulla sono se non le diagnosi che lo stesso paziente fa a sé stesso... paura del rifiuto, senso di solitudine e abbandono, negazione della problematica.
La sintomatologia emergente, inoltre, incide significativamente, sul livello di gratificazione personale, sulla progettualità futura, sulla speranza. Lo sconvolgimento sul naturale stile di vita determina delle conseguenze sugli stati umorali, sulla propria autostima, sul ritmo sonno-veglia, sul senso di irritabilità.
Sul piano emotivo si è colti da un tumulto di emozioni: lo shock iniziale, la paura, l'ansia, la rabbia, la tristezza. Ognuna di queste emozioni porta con sé un aspetto positivo che bisogna essere istruiti a saper cogliere, attraverso un’adeguata terapia di supporto psicologico.
L'ansia può essere percepita da un soggetto diabetico come un’alleata, perché in grado di fornire quell'input necessario a tenere sotto controllo i valori fisiologici.
La rabbia, se opportunamente canalizzata, può tramutarsi in grinta per gestire la malattia.
La paura consente di percepire il pericolo insito nel mancato rispetto di regimi dietetici restrittivi.
La tristezza consente di capire quanto si tiene alla vita.
Tutte queste tematiche accennate ruotano intorno ad un'unica, dirompente quanto insidiosa domanda:
"Che rapporto ho con la mia patologia, quanto l'accetto?"
Dobbiamo chiederci se vogliamo aggiungere alla nostra esistenza, la “vita” oppure la “non-vita”.
Lungo il nostro percorso esistenziale, abbiamo l'opportunità di nascere non soltanto una volta,
ma più volte; possiamo cioè aggiungere delle nuove edizioni di noi stessi, che ci danno la sensazione che siamo nati di nuovo.
Per farlo però bisogna interrogarsi sulle posizioni sulle quali ci siamo arroccati:
Che vantaggio si trae dal continuare a percepire il diabete come un mostro? Che cosa otteniamo, continuando a fargli la guerra?
Come le buone favole ci insegnano, i mostri si vincono quando li si smette di combattere, quando si riesce a conoscerli, ad accettarli, a vederli in una nuova prospettiva. Per riuscire in quest’ardua impresa ci sono delle azioni chiave che possiamo attuare:
- chiedere aiuto: evita l’isolamento!
- negoziare col mostro (diabete): smetti di fargli la guerra!
- lottare col proprio mostro interiore: vinci la tua negatività!
Il mostro non è fuori di noi, ma dentro, in quella parte di noi, che vive le emozioni che proviamo nel loro aspetto limitativo e non esortativo.
Tutti noi disponiamo di strategie di coping (fronteggiamento) delle difficoltà, probabilmente spesso non le attiviamo in modo sano e funzionale ed è per questo che dobbiamo essere guidati nel loro utilizzo: cognitivo, emotivo e comportamentale. Un adeguato percorso di psicoterapia partirà proprio da qui, da quanto sei capace di amarti e di volerti bene, di adottare uno stile di vita sano e di rispettarti.
MEDICINA & PROFESSIONISTI DELLA SALUTE
Simona Novi - psicologa, psicoterapeuta